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Immagine del redattoreAngela Marino

Mostri di Ponticelli: come ho scoperto uno degli errori giudiziari più clamorosi di sempre

Aggiornamento: 18 dic 2023


Sedici anni fa la criminologa Luisa D'Aniello scopriva uno degli errori giudiziari più clamorosi della storia d'Italia, il Massacro di Ponticelli, avvenuto 24 anni prima, nel 1983, a Napoli. Vittime tre ventenni incastrati senza prove per l'omicidio efferato di due bambine, Nunzia e Barbara. Oggi Luisa D'Aniello mi racconta come è riuscita, da professionista alle prime armi al fianco del giudice Ferdinando Imposimato, a scoperchiare una delle verità più scottanti della storia del nostro Paese. Una verità che vede coinvolti poteri di ogni calibro, anche quello, allora intoccabile, della camorra.




Luisa D'Aniello, criminologa

Sedici anni fa quello de 'Il massacro di Ponticelli' era il caso di due bambine assassinate da tre mostri. Oggi è il caso di due bambine assassinate da mano ignota e di tre innocenti condannati ingiustamente. Come ha avuto inizio questo percorso?



Dall'incontro con Ferdinando Imposimato. È stato il mio docente all’università e al Master in criminologia, dove feci una tesi su questo argomento. Pensavo, all’epoca, che fosse stato il giudice istruttore del processo e andai da lui convinta della colpevolezza dei tre. Mi disse che non era così e che se ne era occupato perché aveva sempre sostenuto la loro innocenza. Ricordo come se fosse oggi le sue parole: ‘non voglio condizionarti, procurati le carte, dai una lettura oggettiva dei fatti e poi ci rivediamo’. E così feci. Recuperai le carte, mi misi in contatto con il primo avvocato dei tre, Rosciano e con Assunta Imperante, sorella di Ciro.

Luigi Schiavo, Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca, Nunzia Munizzi e Barbara Sellini

E cosa scopristi?

Non tornavano le cose. Quello che non tornava, da psicologa criminale, era che non ci fosse logicità tra la criminogenesi e la criminodinamica, per questo cominciai a fare mia l’idea di Imposimato. Questo caso mi colpì così potentemente che decisi di chiedergli di riaprirlo, lavorando insieme. Volevo rendere giustizia alle vittime e soprattutto togliere lo stigma ai condannati, lui mi disse: ‘no, non si tratta di togliere lo stigma, ma di restituire loro l’onorabilità’. Si investigò a lungo e la difesa Imposimato- Stefani presentò una richiesta di revisione processuale alla corte d’appello di Roma dapprima accolta e poi rigettata.


Che cosa rappresenta per te questo caso

Be’, questo non è ‘un’ caso, questo per me è ‘il’ caso, e grida giustizia soprattutto per la

ferocia. Omicidi di questo tipo, così efferti, non se ne ricordano molti, in questo Paese. Nunzia e Barabara sono state rapite, violentate (almeno per una lo sappiano per certo), accoltellate con modalità sadiche e poi bruciate. Dal punto di vista criminologico è raro.


E dal punto di vista personale, cosa rappresenta?

Ferdinando Imposimato, magistrato, politico e avvocato

È un caso in cui sono molto coinvolta emotivamente, intanto per il fortissimo legame che ancora ho con Ferdinando Imposimato, lo reputo la mia guida in eterno e la persona che mi è stata più vicino da un punto di vista di crescita professionale. E poi per il legame che ho stabilito con Ciro, Luigi e Giuseppe, sono diventati dei fratelli acquisiti. Tutti i giorni li sento e tutti i giorni ho potuto accogliere la loro disperazione. Perché quello con cui ci scontriamo, da quasi 20 anni, è un muro di gomma.


Come riassumeresti le incongruenze e le omissioni, gli errori

In queste indagini c’è tutto e il contrario di tutto. Vennero svolte da carabinieri e polizia

che, non solo non sapevano gli uni cosa facessero gli altri, ma erano altamente

disorganizzati. Sono cambiati tanti pm, non c’è stata continuità. Pensiamo poi solo a come sono stati assunti all’epoca gli elementi di prova. Quello che oggi appare scandoloso è che ci fu un pentito di camorra, Mario Incarnato che (lo afferma lui stesso) ha potuto interrogare i testimoni, i sospettati.


Su richiesta e con delega di chi allora indagava

Era un periodo storico in cui lo Stato aveva riposto massima fiducia nei pentiti (vedi caso Tortora) e probabilmente Mario Incarnato, ex capozona di Ponticelli, quindi a conoscenza delle dinamiche dei luoghi dove si era compiuto il feroce omicidio nonché uomo di forte spessore criminale, fu considerato una risorsa importante. Di fatto fu il terzo investigatore insieme a carabinieri e polizia.


Portando a una verità estorta con la violenza

In Commissione di Inchiesta Antimafia, Luigi Schiavo (uno dei tre giovani condannati ingiustamente nda) ha riferito di essere stato accompagnato dai Carabinieri in un ufficio della Caserma al cospetto del pentito Incarnato che gli ha chiesto di confessare e al suo rifiuto lo ha malmenato, procurandogli la rottura dei denti.


Peraltro, non c'erano prove scientifiche e si è arrivati alla condanna sulla base della sola prova testimoniale

Esatto. Negli anni facendo un lavoro importante sull’intreccio testimoniale per ricostruire i fatti in maniera logica il caso, ho notato molteplici incongruenze. Perché i testimoni che peroravano l’alibi dei tre condannati riferiscono di essere stati minacciati, arrestati e maltrattati. Anche le testimonianze dei bambini si allineano in maniera pacifica al momento delle indagini e quindi al volere degli inquirenti per dar forza al castello accusatorio contro i tre. I minori, tra l’altro, sentiti più volte nella giornata a orari impensabili, non sempre accompagnati dai genitori.


Poi c’era un pregiudizio investigativo

Il pregiudizio fu generato dall’inesperienza. Non si partì dai dati scientifici che il professor Zarone, medico legale, aveva enucleato attraverso l’esame autoptico, ovvero che i due omicidi erano sovrapponibili perché eseguiti con le stesse modalità, la stessa arma e che erano stati eseguiti da una sola persona, un sadico che aveva tratto piacere dalla loro sofferenza. Ma si partiì dall'idea, anzi dal pregiudiio, che le bambine dovessero essere tre, compresa Silvana Sasso, che poi si tirò indietro perché la nonna non volle farla uscire.


Tre uomini per tre bambine

Ma non era, concretamente, attuabile. Il fatto è avvenuto 19 e 30, il 2 luglio pieno giorno, ora legale, tre uomini con tre bambine in una Cinquecento, (il modello in circolazione allora era minuscolo), se si immagina la corporatura, non so proprio come avrebbero mai fatto. E se ci fosse stata la terza bambina, come ipotizzavano, dove l’avrebbero messa? Tre uomini e tre bambine in una Cinquecento era impossibile.


La ricostruzione degli investigatori era quasi funambolica

Immaginiamo. Alla piena luce del giorno i tre avrebbero dovuto percorrere una strada superpopolata e arrivare fino a Volla, in un campo coltivato, dove non fu trovata nessuna traccia di una scena omicidiaria, avrebbero violentato e poi ucciso le bambine. Poi si sarebbero diretti al rione Incis (luogo di residenza delle bambine) a chiamare Salvatore la Rocca, a cena a casa della fidanzata.


L'apporto di Salvatore La Rocca, fratello di uno dei tre ragazzi coinvolti, sarebbe stato indispensabile per coprire il crimine

La Rocca, persona in realtà, fragile, si sarebbe prestato subito ad aiutarli, con il fare di un soggetto criminale. A quel punto i tre, mettendosi in macchina, dal rione Incis, sporchi di sangue, con le ricerche delle piccole già in corso, avrebbero riportato La Rocca a via Rossi, con lui sarebbero andati sulla sopraelevata dove avrebbero abbandonato e dato fuoco ai corpi delle piccole, per poi andare via.


E alla fine, la ciliegina sulla torta, la confessione - che li ha incastrati - snocciolata a un conoscente in un locale

Esatto. I tre sarebbero, infine, andati alla discoteca Ecoclub di Volla, dove avrebbero confessato candidamente il crimine appena commesso e occultato al supertestimone Carmine Mastrillo. E Mastrillo, come se nulla fosse, sarebbe tornato a casa tenendosi per sé tutto, fino a che, interrogato molte volte non avrebbe rivelato di aver raccolto la confessione solo a settembre e grazie all’intervento “risolutivo” di Mario Incarnato.


Qual è stato l’elemento che ha avvelenato l’indagine, a monte, generando la serie di errori a catena che ci ha portato qui, oggi?

L’ incompetenza e la modalità in cui sono stati condotti gli interrogatori, non bisogna

dimenticare che i tre sono quarant’anni che affermano di essere stati torturati al fine di

potergli estorcere una confessione. Vi è stata inoltre una forte pressione mediatica. Il

fatto che il presidente della Repubblica lanciasse un monito. Se vogliamo, è stato il primo crimine efferato veramente mediatico.


A 40 anni dai fatti, qual è la soluzione per rendere giustizia alle vittime e

l’onorabilità ai tre?

Occorre una sinergia tra magistratura e politica che possa portare a un risultato congruo. L’unica soluzione è riaprire l’inchiesta in Commissione antimafia per cui è stata presentata richiesta dall’onorevole Stefania Ascari.


Cosa ti ha fatto più rabbia, in tutti questi anni?

Il voler chiudere gli occhi da parte di tutti. Basterebbe spiegare a chiunque - non a un

esperto del settore - le anomalie del caso, per comprenderne l’ingiustizia. Invece si arriva sempre vicinissimi a una svolta e poi tutto crolla.


Cosa ti ha segnato di più, a livello umano?

Fra i tanti racconti, ce n'è uno che mi ha molto colpito come donna, come terapeuta e riguarda Ciro Imperante. Ricordo che mi raccontò della sua uscita dal carcere, dove era atteso dalle sorelle. Si trovavano fuori dal penitenziario e dovevano attraversare la strada, le sorelle, in maniera disinvolta, si mossero e attraversarono, lui invece rimase bloccato, paralizzato. A causa del lungo periodo di detenzione, non era riuscito a muoversi, ad attraversare la

strada. La detenzione da innocenti, per loro, è stata la morte psicologica.


Come descriveresti il danno che hanno subito?

Gli hanno tolto la possibilità di dispiegare a pieno le loro personalità, i loro intenti, il loro

avvenire. Luigi ripete sempre che non sa dove sarebbe stato, se non gli fosse capitato tutto questo. Lo dice anche Giuseppe, che continua a conbattere con tutte le sue forze e non dimenticando però tutte le pesanti umiliazioni a cui è stato sottoposto. Tutto questo mi colpisce fortemente. Se questi tre giovani ragazzi che si stavano affacciando alla vita - perché avevano diciannove e vent’anni - non fosse stato tolto tutto questo tempo, come sarebbe stata la loro esistenza? Vorrei che vi fosse un risarcimento morale, che potessero finalmente vivere in maniera positiva e distesa il resto della loro vita.


Poteva capitare a chiunque?

Sì, assolutamente, sì.


Può ancora capitare?

Oggi non saprei. Probabilmente se all’epoca ci fosse stato il DNA sarebbero usciti

immediatamente dall’indagine. Oggi, forse, le nuove tecniche riducono le possibilità di

errore, che comunque restano. Si può sbagliare l’errore è umano e i giudici sono persone. Quello che mi fa rabbia è che si è perseverato, perché nessun si è preso la responsabilità di tornare indietro. Nessuno ha avuto il coraggio, perché in questo caso ci vuole il coraggio.


Come quello che hai avuto tu

Ricordo quando tutti mi dicevano ‘sei una matta, ti sei messa dalla parte dei mostri’. Ora

non sono più tre mostri perché per fortuna i media hanno contribuito a riparare in parte la loro reputazione, la magistratura, che di fatto si sta attivando in maniera attiva, deve togliere finalmente questo stigma e restituirgli l’onorabilità e soprattutto ridare giustizia alle vittime.


Le vittime, grandi assenti di questo caso

Nunzia Munizzi e Barbara Sellini

Ho sempre sostenuto che il centro di questo caso sono sempre stati Imperante, La Rocca e Schiavo, i condannati. Le vittime, Nunzia Munizzi e Barbara Sellini, incredibilmente, non sono mai state protagoniste. Non si è mai parlato di loro, di chi fossero e non si è mai indagato per stabilire se avessero creato un legame con la persona sbagliata.



Alla luce della tua profonda esperienza del caso, che idea ti sei fatta su quello

che accadde quel 2 luglio?

L’idea che mi sono fatta è che le piccole avessero stabilito un legame recente col loro aguzzino, perché Nunzia e Barbara erano cresciute in un contesto familiare rispettabile, attento, erano continuamente osservate. Non sarebbe potuto accadere se non fosse stato frutto di una fiducia o una simpatia catturate in poco tempo un minuto con la promessa innocente, magari, di un pic nic o un gelato.


In altre occasioni hai fatto notare che alcune ricostruzioni hanno dato

un’immagine distorta delle bambine, a tratti offensiva

Quello che mi fa rabbia è che si è fatte passare queste bambine per due minori adultizzate, sessualizzate, come purtroppo si legge nella sentenza di secondo grado, si è voluto fare credere che in un contesto di degrado Nunzia e Barbara avessero stabilito un’intesa romantica con il loro assassino. Non è così, il tenore dei loro comportamenti di Nunzia e Barbara era assolutamente infantile.


E adesso cosa farai?

Non mi fermerò MAI , con l’investigatore Giacomo Morandi siamo sempre a lavoro in

attesa che riparta la Commissione d’Inchiesta in Antimafia, perché la Camorra in questo caso, è stato un elemento fondamentale a generare l’errore

Basti pensare che i pentiti che hanno accusato i tre sono gli stessi di Tortora.


"Se non fosse successo tutto questo, non so dove sarei, non riesco più a immaginarlo".
Luigi Schiavo

Giuseppe La Rocca, Ciro Imperante e Luigi Schiavo oggi

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