Sono nata nel 1983, a qualche chilometro da Napoli, lontano quanto basta per sentirmi ripetere due volte il nome del comune quando do i dati anagrafici a qualcuno. Forse sarà per questo o per il fatto di sentirmi sempre chiedere se sono italiana, dai tempi della scuola, che mi sono sempre sentita una outsider dovunque andassi. Piccolo spoiler: sono italiana, ma a quanto pare occhi a mandorla e capelli scuri bastano per far venire il dubbio a una manciata di ragazzini della scuola pubblica che non avevano (negli anni Ottanta), mai visto un bambino straniero normalmente integrato, a meno che non fosse adottato da una famiglia del posto. Dunque, diversa, da subito. Il che è stato un bene e un male.
A dodici anni credevo che la mia strada fosse l’arte. Sapevo disegnare o almeno lo credevo non facendo altro tutto il giorno (a parte studiare) e così sono approdata al liceo artistico statale di Aversa. Tre decine di chilometri da Caserta, ma un po’ più grande e urbanizzato perché qualcuno dovesse chiedermi di ripetere due volte il nome del comune. Lì ho imparato due cose: che di arte raramente si vive e che avevo un’altra compulsione da assecondare.
Scrivere.
Anche in questo caso ci sono voluti degli anni per capire che non mi avrebbe dato da vivere, non subito, non da affitto, bollette e il resto. È stato all’università, con un giornale un pelino più evoluto di un giornalino del liceo, che ho scoperto quello sbocco della scrittura che mi avrebbe trasformata finalmente in una lavoratrice dipendente, stipendiata e integrata nella società: il giornalismo. Se qualcuno mi chiedesse oggi se è stata la scelta giusta, giurerei di sì, sempre, senza dubbi, anche se a una matricola che mi chiedesse se intraprendere questa strada risponderei: sì, ma non è affatto quello che pensi.
A 25 anni siamo tutti convinti di essere Oriana Fallaci e Gad Lerner, pensiamo di aver inventato il giornalismo, ci inorgogliamo di ogni successo. Ma guizzi e intuizioni a parte, anche questo è un mestiere che si costruisce con la sistematicità, con il metodo, con la routine. Tutte cose che, diciamolo, non mi appartengono. E così ho cercato di mettere nel giornalismo la mia passione per la narrativa, non senza sgomento di alcuni colleghi, per cui quella ‘roba’, quegli articoli lunghissimi in cui raccontavo fatti di cronaca con un respiro letterario, non erano articoli, non era giornalismo. L’ho sempre trovato un complimento più che lusinghiero.
Qualunque cosa fossero venivano letti e riletti così ho pensato di modellare un format editoriale social su questo tipo di narrazione. Brevi post da leggere in pochi secondi che ti facciano entrare in una storia di cronaca e poi uscire, accompagnandoti, coinvolgendoti, anziché sbatterti in faccia i soliti calchi retorici di certo giornalismo. È nata una pagina Facebook a cui ho dato il mio nome, ma quasi niente altro di me, a parte una foto minuscola in cui sono appena riconoscibile. Niente story delle vacanze al mare, niente foto di pizze e dessert, niente invettive contro questo o quello. Solo cronaca. Mi sono sentita così a mio agio che ho fatto quello di cui non credevo di essere capace, aprire il laptop e avviare il file di un romanzo. Il genere? Carl Gustav Jung ha scritto: “Come posso avere sostanza se non faccio ombra? Devo avere anche un lato oscuro per poter essere intero”.
Diciamo che mi interessa esplorare il lato che ci rende interi.
Sei molto brava ha raccontare. Ti stimo e ti leggo con interesse.
Fantastica 💕
Brava, e che bello che lo hai raccontato
Tutta la mia stima.